Come affrontare il tempo di bulli urlanti
predicazione su 1 Pietro 5,5-11
A volte mi sembra che tutto, attorno a me, diventi più rumoroso e più accecante.
Mi mancano i toni sommessi, le immagini delicate, le sfumature tra il bianco e il nero, tra il sì e il no, tra il mio e il tuo.
La retorica del potere, con le sue parole di potere, mi schiaccia.
E mi chiedo: questo contamina anche me? Mi unisco anch’io a quel coro, senza volerlo, senza accorgermene?
Quando scrivo, non voglio ferire con le parole. Quando parlo, non voglio coprire la voce degli altri. E non voglio che gli altri lo facciano con me. Cerco il fine nel grossolano che mi circonda: il sensibile e il sottile, il sovversivo e il sobrio.
Sento che il tono si è fatto più duro: in politica, nei media, nella vita di ogni giorno.
Troppe cose suonano come slogan da bar, intrisi di birra; io invece anelo all’aria meditata di uno studio.
Intorno a me vedo un continuo riarmo, verbale e mediatico.
Immagini potenti e simboliche mi saltano agli occhi: Trump cavalca il leone; Putin l’orso, e pure la tigre.
Questa messa in scena di maschilità tossica mi irrigidisce, mi respinge.
Io ho bisogno anche del tenero, del fragile, del lacerato.
Non solo «Basta», ma a volte anche «forse».
Non sempre rifiutare e zittire, ma anche valutare.
Non voglio mettere tre punti esclamativi dopo ogni frase.
A volte voglio lasciare un punto interrogativo.
«Non è il momento» — mi dice un amico.
«Lo vedi: l’aria è tesa e arroventata. Ora bisogna esporsi con coraggio, mostrare forza, prendere posizione chiara. “Qui sto, non posso fare altrimenti.” Se no finisci al tappeto. Ci vuole il cuore del leone, il coraggio del leone. Devi ruggire più forte degli altri. Altrimenti non ti ascoltano, non ti vedono, ti passano sopra».
Io non voglio ruggire.
Voglio cantare.
Voglio consolare.
E, a volte, tacere.
«Il vostro avversario va attorno come un leone ruggente»
È un’immagine forte.
Una situazione bruciante. Fa paura.
Se un leone ruggisce, non voglio essergli vicino; e se si avvicina da dietro in silenzio, ancora meno.
Ma il leone, in sé, non è cattivo.
Rappresenta coraggio, forza, potenza.
È un animale araldico amato. Un animale di potere.
Nella mitologia egizia, la Sfinge ha corpo di leone.
Nelle visioni bibliche del carro celeste, il leone esprime la forza straordinaria del divino.
Serve a illustrare il vigore degli eroi, dei giusti, di Gesù e di Dio stesso.
Eppure ciò che rende grande il leone può essere piegato al male.
Mi sono avvicinato al leone con cautela e curiosità.
La Bibbia lo dipinge anche come animale possente, spesso violento.
Strappa capi dalle greggi.
Il suo ruggito è come un tuono.
Esce dal folto e sta in agguato nei nascondigli; la sua violenza è devastante.
Gli oppressori sono paragonati a leoni: ricchi che sfruttano i poveri, popoli nemici che minacciano Israele, potenti che perseguitano i giusti.
Il leone è ovunque.
È un avversario forte.
Sconfiggerlo rientra tra le dodici fatiche di Ercole.
Il leone è re degli animali. Predatore. Combattente.
Come l’orso e la tigre.
Chi punta su queste immagini — o ci “sale sopra” — è pronto allo scontro: «Il vostro avversario va attorno come un leone ruggente».
Come si doma il leone?
Come si vive sotto minaccia?
Mi sono accostato all’arte di domare il leone con curiosità e desiderio di capire.
Quando fu scritto 1 Pietro, i cristiani erano perseguitati.
Esposti alla violenza.
Alla potenza ostile.
E alla propria debolezza.
Il leone rappresenta il male pericoloso, ma anche l’aggressione e la repressione dello Stato.
Nerone, persecutore dei cristiani, fu visto come un leone. Tiberio anche.
Paolo fu «strappato dalla gola del leone».
In Apocalisse, un mostro con fauci di leone si alza contro la Chiesa.
Come si vive questa minaccia?
In 1 Pietro trovo risposte che oggi danno forza.
Possono spezzare la spirale dell’esibizione di dominio e delle minacce.
Possono fermare la gara senza fine dove vince il più forte, ha ragione il più rumoroso, conta chi “ha sempre ragione”.
C’è un’altra via.
Non è necessario scendere nell’arena contro il leone, occhio per occhio, dente per dente.
Non dobbiamo ruggire nella sua bocca, diventando come lui.
«Non sono sempre i rumorosi a essere forti, solo perché fanno rumore. Molti vivono, in silenzio, una vita più vera (…) Non scrivono canzoni: sono melodia. Camminare così diritto, non imparerò mai».
«Sapendo che le stesse sofferenze toccano ai fratelli e alle sorelle nel mondo»
Empatia e solidarietà sono chiavi decisive per vivere “nell’occhio del leone”.
La minaccia non colpisce solo me.
Altri passano ciò che passo io.
Questo può essere un’opportunità, ma anche un pericolo.
Restare uniti di fronte al pericolo non è scontato.
La paura avvelena le relazioni.
Semina diffidenza.
Raccoglie odio.
Se accade, il leone ha vinto.
Non deve più ruggire né tendere agguati.
La paura ha fatto il lavoro del leone.
Gli basta aspettare. Poi colpisce.
Ma non è inevitabile.
Si può restare uniti.
Sostenere insieme la prova.
Sostenersi a vicenda.
Tenere piccola la paura.
Insieme si affronta meglio il dolore.
Insieme si può mettere il leone al guinzaglio.
Domarlo.
Togliere i denti.
Un proverbio etiope dice: «Se molte ragnatele si intrecciano, possono legare il leone».
Non siamo costretti a vincere il leone con la violenza.
Possiamo domarlo.
Chissà: forse il leone non è immune al bene.
Forse la bontà lo contagia.
Forse il superbo diventa mansueto, il nemico amico.
«La bontà può strappare un pelo dai baffi del leone» (proverbio africano).
Non sempre funziona.
A volte sì.
Alla fine, funzionerà sempre.
Quando la bontà di Dio dilagherà e farà bene a tutti e a tutto.
Alla fine dei tempi sarà così:
«Il lupo dimorerà con l’agnello… il vitello e il leone pascoleranno assieme, e un piccolo fanciullo li guiderà… e il leone mangerà paglia come il bue».
«Resistetegli stando fermi nella fede»
Fiducia, non paura.
Anche questo salva e fa vivere.
La paura ingrandisce il leone.
Rende passivi o aggressivi.
Paralizza.
O ci fa correre verso il coltello.
Così la paura ci divora prima ancora del leone.
C’è un’alternativa.
1 Pietro ci incoraggia a confidare in Colui che è più forte di tutti i leoni.
«Gettando su di lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi» (1 Pietro 5:7, NR).
«A lui sia la potenza nei secoli dei secoli» (5:11, NR).
Il ruggito non è l’ultima parola.
Su questo confido.
Per questo oso vivere.
L’ultima parola ce l’ha Dio.
Non la sento come un decreto urlato dal cielo.
Piuttosto come una melodia lieve, che arriva da lontano, come l’eco di un amore.
Colui che ha la prima parola, ha anche l’ultima.
Questo cambia tutto.
Non devo irrigidirmi per la paura.
Né correre, per paura, nella tana del leone.
Posso camminare.
Andare incontro al futuro di Dio.
Mi affido a Colui che mi muove.
E che mi sostiene quando cado.
«Cadiamo tutti. Questa mano cade.
Guarda gli altri: è in tutti.
Eppure c’è Uno che tiene questa caduta, infinitamente dolce, nelle sue mani» (R. M. Rilke).
«Il SIGNORE sostiene tutti quelli che cadono e rialza tutti gli oppressi».
«Nel giorno che avrò paura, io confiderò in te».
«Siate sobri e vigilate»
Vigilanza e attenzione salvano in terra selvaggia.
Si può affrontare il leone con l’astuzia della volpe.
Non c’è bisogno di cadere nella sua trappola.
La favola antica lo sa.
Un leone, invecchiato, non riusciva più a cacciare.
Invitò gli animali nella sua tana e li divorò uno dopo l’altro.
Anche la volpe arrivò, ma rimase fuori, in guardia.
Il leone la chiamò con voce suadente: «Entra anche tu».
La volpe rispose: «No, non mi fido. Ho visto molte orme entrare, nessuna uscire».
Non cadde nell’inganno.
Perché era prudente.
Perché seppe attendere.
«Siate sobri, vegliate…».
Che il leone ruggisca o che adeschi con parole melliflue, state desti.
Non cascate nel ruggito.
Non tutto ciò che è gridato è vero.
Non lasciatevi intimorire.
Non serve chinare il capo a ogni ruggito.
Con intelligenza si smascherano frasi vuote e rumorose.
E non ci si lascia incollare alla loro colla.
«L’intelligenza non paralizza, non indebolisce, non frena. Vi stupirete!
Non sono sempre i rumorosi a essere forti.
Molti saggi, nonostante tutto, riescono a sopravvivere. E a far vivere.
Come si vive, come si sopravvive, come si vive insieme “nell’occhio del leone”?
Forse serve tutto insieme: la prudenza del serpente e la semplicità della colomba.
La fiducia degli uccelli del cielo e la bellezza dei gigli dei campi.
«Gettando su di lui ogni vostra preoccupazione».
Le domande dei primi cristiani sono ancora attuali.
Così le loro risposte.
La minaccia ci sfiora da molte parti: crisi, guerre, lotte culturali.
È diventato tutto rumoroso.
La società è polarizzata.
Eppure credo che la pragmatica risolva meglio dei populismi.
Che le idee ci facciano avanzare, non le ideologie.
Che il pensiero e il dialogo ci facciano bene.
E l’umiltà.
«Rivestitevi tutti di umiltà…».
Non ho bisogno di ruggire.
C’è un’altra via.
Mi affido alla tenuta delle ragnatele sottili.
Punto sulla scaltrezza delle volpi e sul coraggio dei terrier.
Vado avanti, fermo nella fede.
«Nel giorno che avrò paura, io confiderò in te».
Così vivo. E non voglio vivere altrimenti.
Jens Hansen
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