La festa del Raccolto

Predicazione su Isaia 58, 7-12

in molte chiese al nord oggi è bello entrare in chiesa e sentire profumo di pane, frutta, fiori.

La festa del raccolto ci ricorda che tutto è dono: la terra, la pioggia, il lavoro delle mani. Oggi diciamo grazie a Dio. E mentre lo facciamo, abbiamo ascoltato insieme la voce del profeta Isaia.

Isaia ci scuote un po’, come un vento d’autunno con le sue affermazioni che Dio non guarda solo ai cesti pieni, ma alla pienezza del nostro amore concreto. Il grazie che gli piace è un grazie che si vede nella vita.

Il profeta parla a persone credenti, gente che prega e digiuna. Eppure Dio dice: “Non è piuttosto questo il digiuno che voglio? Dividi il tuo pane con chi ha fame, accogli in casa i poveri senza tetto, vesti chi è nudo” (vv. 6-7). È semplice: condividere il pane, aprire la porta, ridare dignità. Non si tratta di fare grandi cose per un giorno solo, ma di lasciare che la fede scaldi il cuore e apra le mani. Condividere il pane significa non dare gli avanzi, ma il pane buono, quello che mangeresti tu. È dire: “Quello che ho, è anche tuo”. Aprire la casa non vuol dire soltanto avere una stanza libera; è soprattutto aprire un po’ del nostro tempo, ascoltare, far sentire qualcuno accolto. Rivestire chi è nudo non è soltanto consegnare vestiti: è restituire sguardi che dicono “tu vali”, parole che ridanno speranza.

John Wesley lo diceva così: la fede cristiana non vive chiusa in sacrestia, è una fede che tocca la vita sociale. Se il Vangelo scende nel cuore, qualcosa nelle nostre abitudini cambia.

Isaia poi ci mette davanti ad altre “catene” da rompere. Dice: togliete di mezzo il giogo, smettete il dito puntato e il parlare cattivo (v. 9).

Quante volte facciamo male con le parole: mormorazioni, giudizi frettolosi, etichette che inchiodano le persone. A volte una frase fa più male di una pietra. Il “digiuno” che Dio gradisce può essere anche questo: oggi scelgo di non parlare male di nessuno, oggi scelgo una parola gentile.

E poi c’è lo sfruttamento nascosto: quando compriamo qualcosa a un prezzo troppo basso, spesso c’è qualcuno che paga quel prezzo con la sua fatica e con la sua vita. Non possiamo aggiustare tutto, ma possiamo essere un po’ più attenti: scegliere quando possibile prodotti giusti, valorizzare il lavoro onesto, sostenere chi è in difficoltà qui vicino, nel nostro quartiere. Non capita solo “lontano”: anche qui ci sono persone sole, famiglie che faticano ad arrivare a fine mese, ragazzi che cercano una mano.

La fede non è fuga dal mondo. È una luce messa proprio dove c’è buio. I primi metodisti portavano il Vangelo là dove c’era polvere, miniere, fatica. Perché la santità non è isolamento, è vita che profuma di bene nella vita di tutti i giorni: al mercato, a scuola, in fabbrica, in ufficio, in famiglia. La nostra festa di oggi ci invita a questo: ringraziare Dio e, subito dopo, guardare intorno con occhi nuovi.

E qui arriva la parte più bella del testo: le promesse. “Allora la tua luce spunterà come l’aurora” (v. 8). Quando scegliamo la via della giustizia e della misericordia, Dio apre sentieri dove non li vedevamo. “Il Signore ti guiderà sempre, sazierà l’anima tua nei luoghi aridi e darà vigore alle tue ossa” (v. 11). Quante volte ci sentiamo stanchi, svuotati: Lui promette di rifarci forza dentro. “Sarai come un giardino irrigato, come una sorgente d’acqua che non si prosciuga” (v. 11). Dove c’era aridità, ricompare freschezza. E ancora: “Ricostruirai le antiche rovine… ti chiameranno riparatore di brecce” (v. 12). Che titolo meraviglioso! Sembra un nome del futuro, e invece Dio ce lo affida già adesso, come a dire: “Io vedo ciò che puoi diventare con me”. Pensiamo a cosa significa essere “riparatori di brecce” oggi. Non parliamo di muri, ma di relazioni: strappi dentro le famiglie, amicizie incrinate, generazioni che non si capiscono, vicini che non si salutano, ferite con la terra che ci nutre.

Riparare una breccia vuol dire fare un passo di riconciliazione, domandare scusa, tendere la mano per primi, scegliere un po’ di sobrietà per il bene comune. A volte basta poco: una telefonata, un invito a tavola, un “come stai?” detto con sincerità. In una comunità cristiana, questi piccoli gesti diventano una rete che sostiene. E quando questa rete si allarga, si vede davvero la “matematica di Dio”: più condividiamo, più sembra che tutto si moltiplichi. Non diminuisce la gioia, aumenta. Non perdiamo tempo, guadagniamo pace. Non ci impoveriamo, scopriamo che la benedizione gira.

Vorrei che oggi il nostro “grazie” non fosse solo per i frutti. Ma il Signore ci chiede di portare anche il nostro cuore, con le sue paure e i suoi desideri, e di dire: “Eccomi, voglio che il mio grazie si veda nella vita”.

Come? Cominciando da dove siamo: a casa, al lavoro, a scuola, in parrocchia, nelle associazioni del territorio. Non serve aspettare condizioni ideali. Dio non ci chiede perfezione, ci chiede disponibilità. Lui fa il resto. Quando ci sembra di non avere forze, ricordiamo la promessa: “Il Signore ti guiderà sempre”. Non siamo soli. Lui cammina davanti e apre la strada.

Mi piace immaginare così la festa del raccolto: non un museo dove ammirare i doni di Dio, ma un cantiere aperto dove tutti portano qualcosa. Ognuno con ciò che ha: tempo, ascolto, competenze, sorriso, pazienza. C’è chi può dare di più, chi di meno: davanti a Dio vale l’amore, non la quantità. E in questo cantiere non lavoriamo per dovere, ma per gratitudine. Perché abbiamo sperimentato, almeno una volta, che Dio ci ha amati per primo, che ci ha cercati quando eravamo smarriti, che ci ha rimesso in piedi quando eravamo stanchi. Da quella gratitudine nasce tutto. Allora, portiamo al Signore la nostra decisione di essere, con la sua grazia, “riparatori di brecce”. Facciamo spazio a chi è solo. Scegliamo parole che curano. Teniamo gli occhi aperti sulle ingiustizie, vicine e lontane, e proviamo a fare la nostra parte. Se lo faremo, vedremo l’aurora. Non perché siamo bravi, ma perché Dio è fedele. Lui trasforma il poco in molto, le nostre piccole gocce in una sorgente che non si esaurisce.

Vorrei chiudere con una preghiera semplice.

Signore, Padre buono, grazie per la terra, per il pane, per le mani che lavorano. Accendi in noi una gratitudine che si vede, che condivide, che accoglie, che risolleva. Guariscici dalle parole che feriscono e dalle abitudini che fanno male agli altri. Rendici giardini irrigati nel nostro quartiere, riparatori di brecce nelle nostre famiglie e nella nostra comunità. Guidaci tu: quando non sappiamo cosa fare, metti tu una luce davanti ai nostri passi. Nel nome di Gesù, nostra salvezza. Amen.

Jens Hansen Mastodon

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