Non sono il mio curriculum

Predicazione su Filippesi 3,7-14

Prima di lavorare solo con il computer, la mia scrivania era un campo di battaglia. Fogli dappertutto: appunti, promemoria, cose da fare. Alcuni li scrivevo io, altri comparivano senza sapere bene come. Se quei fogli avessero potuto parlare, credo che avrebbero fatto un gran chiasso. Uno avrebbe detto: “Sbrigati con me!”. Un altro: “Mi avevi promesso di sistemarmi ieri!” Un coro di richieste continue.

Forse anche a voi capita qualcosa di simile. Magari non con i fogli, ma con l’agenda sul telefono, con i post-it sul frigo, o con il pensiero fisso di non dimenticare nulla. La sostanza non cambia: siete sempre pieni di cose da fare, di aspettative da rispettare, di impegni da incastrare. Al lavoro, in famiglia, ma anche dentro di voi: sogni, ambizioni, sensi di colpa, il desiderio di non deludere nessuno. Il desiderio di essere “abbastanza”. E allora correte. Cercate di farcela. E quando ci riuscite — almeno per un po’ — vi sentite bene. Magari pensate: “Ecco, adesso sì che valiamo qualcosa.” Il problema? È che questa sensazione dura pochissimo. Perché appena spuntate una voce, ne arrivano due nuove. Sempre di corsa, sempre sotto pressione.

Il “prima” di Paolo

C’è stato un uomo nella storia che viveva esattamente così. Si chiamava Paolo, è lui l’autore del testo di oggi, una specie di autobiografia. Paolo, lo conosciamo bene. Era un tipo tosto, determinato, uno che faceva carriera. Un religioso rispettato, convinto di fare la cosa giusta, anche quando perseguitava chi la pensava diversamente. Si impegnava al massimo per essere irreprensibile davanti a Dio e davanti agli uomini. Ogni suo gesto, ogni sua parola, ogni sua scelta erano pensati per dimostrare che era all’altezza.

Potremmo dire che, prima di incontrare Gesù, Paolo viveva in una continua “gara” per costruirsi una reputazione. E ci riusciva bene. Era fiero del suo curriculum spirituale e morale: ebreo di stirpe pura, circonciso l’ottavo giorno, fariseo zelante, osservante della legge, senza colpa visibile. Era sicuro di sé.

Ma questo “prima” era anche pesante. Perché quando vivete per tenere alta la vostra immagine, siete sempre sotto pressione. Dovete sempre mantenere lo standard. E ogni piccolo errore rischia di rovinare tutto.

La svolta – Trovare casa in Cristo

Poi, all’improvviso, tutto cambia. Paolo è sulla strada di Damasco, pronto a fare ancora quello che pensa sia giusto, quando una luce lo abbaglia. Cade a terra. Non vede più nulla. È un momento di crisi totale: perde i riferimenti, l’equilibrio, il controllo. E proprio lì, nel buio, comincia qualcosa di nuovo. Incontra Gesù, vivo, reale. E questo incontro gli cambia la vita.

Un commentario cerca di riassumere quanto Paolo scrive in un’unica frase, e lo trovo molto azzeccato: “Se io solo potessi guadagnare Cristo e trovare in lui la mia casa”. Significa: Paolo scopre che la sua vera casa non è nella reputazione, nei successi, nel rispetto degli altri, ma in una relazione viva con Gesù. La casa è il posto dove possiamo finalmente smettere di recitare, dove possiamo essere noi stessi, dove siamo accolt*. E Paolo capisce: in Cristo posso fermarmi, respirare, dire grazie, e sapere di essere amato così come sono.

Dal guadagno alla perdita

Per questo scrive ai Filippesi: “Ma ciò che per me era un guadagno, l’ho considerato come un danno a causa di Cristo” (v. 7). Tutto ciò che prima gli dava sicurezza — la sua origine, la sua religiosità, il suo zelo — ora lo considera “spazzatura” rispetto al valore di conoscere Cristo. Non che quelle cose fossero cattive in sé, ma non potevano dargli ciò che solo Cristo poteva dare: una giustizia non costruita con le sue opere, ma ricevuta come dono da Dio.

Paolo non dice: “Ho trovato Cristo e ora mi siedo comodo”. Anzi, dice: “Voglio conoscerlo sempre di più”. Vuole sperimentare la potenza della sua risurrezione, condividere le sue sofferenze, conformarsi a lui. È come se dicesse: “Non mi basta sapere chi è Gesù, voglio vivere con lui e per lui”.

Il “dopo” di Paolo – Una corsa diversa

Nei vv. 12-14 Paolo è molto chiaro: “Non che io abbia già ottenuto tutto… ma corro verso la mèta”. Guarda qui, c'è una bella immagine. Paolo non è più quel tipo che vuole arrivare primo per vantarsene. Ora è libero, sa di essere già amato e accettato, ma corre per rispondere a quell'amore. Non lo fa per costruirsi un'identità, perché la sua identità è già sicura in Cristo.

E qui c’è una differenza enorme. Quando correte per dimostrare chi siete, vivete nell’ansia di non farcela. Quando correte perché amate e siete amati, correte con gioia e perseveranza, anche se la strada è dura.

Anche noi possiamo trovare casa

E allora la domanda è: dove stiamo cercando casa noi?

Molti di noi cercano casa in un lavoro stabile, in una famiglia unita, in una reputazione senza macchia, nella stima degli altri. Tutte cose belle, ma fragili. Basta un imprevisto, un fallimento, un cambiamento, e ci sentiamo persi.

Inoltre, e questo ci insegna la Gestalt, scuola di terapia, che più faccio le cose per essere accettato dagli altri, più perdo me, perché non sono più riconoscibile, non sono più il Jens che sono davvero ma quello che vuole apparire e le persone vedono solo un’immagine costruita, ma non me stesso.

Trovare casa in Cristo significa dire: “Il nostro valore non dipende da quello che facciamo o da come gli altri ci vedono. Dipende da un amore che non cambia.” È sapere che, anche se il lavoro finisce, anche se la salute vacilla, anche se commettiamo errori, restiamo accolti. In Cristo possiamo essere noi stessi, con i nostri sogni e i nostri fallimenti, e sapere che lui non ci respinge.

Vivere con libertà e scopo

Il bello è che questa libertà non ci rende passivi. Non è un “allora non facciamo più niente”. Anzi! Proprio perché Paolo ha trovato casa in Cristo, il suo impegno diventa ancora più focalizzato. Non deve più spendere energie per proteggere la propria immagine; può spendere la vita per ciò che conta davvero: servire, amare, portare il Vangelo, combattere per la giustizia, la pace, la verità.

Anche noi, se siamo liberi dal bisogno di dimostrare qualcosa, possiamo dedicarci di più a ciò che fa bene agli altri e onora Dio. Possiamo correre per la mèta che vale: vivere per Cristo e con Cristo.

Sfide grandi, ma possibili

Paolo corre verso obiettivi che sembrano impossibili: la piena conoscenza di Cristo, la comunione con lui fino alla morte, la risurrezione. Anche noi oggi abbiamo davanti obiettivi grandi: pace, giustizia, custodia del creato, amore per i più fragili. Da soli non ce la faremo mai. Ma se la nostra casa è in Cristo, non ci scoraggiamo. Corriamo con lui e per lui.

Conclusione – L’invito personale

Forse oggi vi sentite stanchi. Forse state correndo da troppo tempo per dimostrare di valere. Forse avete paura di fermarvi, perché non sapete cosa succederebbe se lo faceste. Vi invito a fermarvi davanti a Cristo. A dirgli semplicemente: “Eccomi. Prendimi così come sono.” Non dobbiamo convincerlo a volerci bene: ci ama già. Non dobbiamo essere perfetti: vuole cominciare da dove siamo ora.

Come Paolo, possiamo dire: “Siamo stati afferrati da Cristo Gesù”. E quando lasciamo che lui ci afferri, troviamo finalmente casa. Una casa che non crolla, una corsa che non stanca, una mèta che vale la vita.

Jens Hansen Mastodon

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