Porte chiuse?

Predicazione su Matteo 25, 1-10

Il capitolo 25 dell’Evangelo di Matteo fa parte del discorso profetico di Gesù, io lo chiamerei apocalittico. Il nostro capitolo contiene 3 discorsi, quello nostro, quello dei talenti affidati e il giudizio universale. Il giudizio delle persone inadatte viene espresso con le parole: Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli … a punizione eterna.

Alla persona che non sa mettere a frutto i suoi talenti viene detto: quel servo inutile, gettatelo nelle tenebre di fuori. Lì ci sarà pianto e stridor di denti.

E oggi, pochi versetti prima, troviamo lo stesso Gesù apparentemente esclusivo, duro, un Gesù che divide, che esclude, che erige mura o meglio, chiude delle porte, quando dice: Io vi dico in verità: Non vi conosco.

Sbagliamo quindi noi, sbaglio io, che da qualche anno, escludo categoricamente il fatto che il Dio che in Cristo per noi è il Dio d'amore e che viene predicato come tale nelle nostre chiese, poi, quando moriamo per molti diverrebbe un moloc crudele che si compiace di vedere bruciare la gente nell'inferno?

Dovremmo quindi chiederci come mai delle frasi così severe e crudeli siano uscite dalla bocca di Gesù, come mai l'Evangelista Matteo ci presenta un Gesù al di là dell'amore, un Gesù che divide, un Gesù severo?

Per fare ciò conviene capire l’evangelista Matteo e vedere che le sue sono parole ancorate nella propria esperienza che tramanda delle parole di Gesù per la sua chiesa, non come scriba che copia una per una le parole che egli trova nella tradizione, ma come uomo responsabile, uomo di chiesa, della sua chiesa, che ai suoi tempi, quando scrive l'Evangelo, si trova in diverse difficoltà.

Matteo, e solo Matteo, tramanda i discorsi profetici di Gesù, scrivendo a dei credenti della seconda metà del primo secolo. Matteo scrive a una chiesa che letteralmente non sa dove collocarsi. Infatti, il tempo dopo il 70, distruzione di Gerusalemme, è segnato da grandi cambiamenti per le giovani chiese: le sinagoghe ebree non vogliono più i cristiani in mezzo a loro. I discepoli di quel Gesù di Nazaret se ne devono andare, il loro legame con la religione dei padri, con il popolo d'Israele, viene interrotto. Con questa interruzione la chiesa perde la protezione di essere parte di una religio licita, protetta.

Adesso i cristiani devono partecipare a tutte le festività e i sacrifici statali fatti in onore del divino imperatore. I credenti però non vogliono adorare un essere umano, anche se è l'imperatore. Loro vogliono adorare solo ed esclusivamente Dio, il Dio predicato e testimoniato da Gesù.

Questa tensione crea conflitti, conflitti con il potere imperiale ma anche all'interno delle chiese. Sappiamo che non in tutte le province dell'impero applicano con severità la legge. Ci sono province e anche tempi di relativa calma, ma anche periodi di carcerazioni, interrogazioni e pene capitali per i cristiani. Tutto sommato la situazione nella seconda metà del primo secolo è segnato da arbitrarietà degli uffici statali, da un'insicurezza legale, dalla paura nelle chiese.

Quindi, persecuzioni, martirio. In questa situazione molti vedono delusa la loro speranza che il Regno di Dio sarebbe venuto ben presto. Per questo, la parabola, inizialmente scritta come invito alla grande festa del Regno di Dio, diventa un racconto che invita alla pazienza, al fiato lungo, a non disperare in una situazione in cui niente è come sperato. Per dirlo con le parole della parabola: ci vuole l'olio per tenere viva la fiamma della fede.

Dimenticavo: avete sentito? Ascoltato bene? Ho detto: la parabola, è inizialmente scritta come invito alla grande festa del Regno di Dio.

Lo si vede, perché l'inizio, com'è?

Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini le quali, prese le loro lampade, uscirono a incontrare lo sposo.

All'arrivo dello sposo grande gioia. Le nozze sono un'immagine per il nuovo mondo di Dio, per la comunione con Dio aperta a tutte le donne e tutti gli uomini. La parabola una volta era proprio un grande invito alle nozze, alla comunione con Dio, alla grande festa: dieci vergini che piene di gioia vanno incontro al loro Signore.

Ora, la chiesa di Matteo vede: questa festa ancora non c'è, invece … vedi sopra.. Allora, Matteo dice con questa parabola di avere pazienza, di non disperare, ci vuole fede, coraggio, fiducia che Dio sta per arrivare, anzi è già presente e vuole profondamente cambiare la realtà di questo mondo. La festa c'è, questa certezza, i guastafeste non la possono proprio togliere.

Certo, il Risorto non torna da oggi a domani. La morte non viene superata da oggi a domani. Dio non toglierà le nostre lacrime da oggi a domani. Non vedremo subito il volto amorevole di Dio.

E' difficile scorgere il Regno di Dio in mezzo ad un mondo che viene governato dalla paura, lo era allora e lo è anche oggi.

La parabola di Matteo non vuole escludere ma dare fiducia.

Così parla anche a noi che spesso ci sentiamo impotenti nel nostro agire contro i poteri della morte, contro la fame nel mondo, contro la distruzione dell'ambiente, contro una politica e economia che esclude davvero e utilizza la guerra come mezzo per fare profitti, contro pregiudizi, contro l'odio.

Matteo vuole dirci: guardate la porta non è chiusa, la festa delle nozze, la comunione con Dio è possibile e noi dobbiamo essere coloro che annunciano la festa in mezzo ad un mondo con la voglia di annientarsi.

Oggi potremmo perdere la speranza di fronte alla volontà di tutti di avviare lo scontro armato.

Chi oggi ha il cuore dalla parte della pace, viene fatto tacere e non preso sul serio. Il macchinario della guerra va avanti perché porta soldi nelle tasche di chi già negli anni della crisi ha guadagnato alle nostre spalle. Il regime della paura vuole farci credere che non c'è alternativa. Noi, di fronte alla porta aperta della festa del Regno possiamo invece dire: la guerra è la scelta per le ricchezze: 'facciamo armi, così l'economia si bilancia un po', andiamo avanti con il nostro interesse .

La guerra fa guadagnare sempre alle stesse persone spargendo morte e distruzione.

Noi che vogliamo sperimentare la festa del Regno di Dio, dobbiamo opporci a chi non vuole che la vita sia una festa per tutte e per tutti, dobbiamo opporci con la nostra fede e il nostro coraggio a chi vuole il conflitto e vivere da fautori della pace.

Dobbiamo denunciare chi vende armi e soffia così sul fuoco. Dobbiamo dire al nostro governo e a tutti i governi non solo in Europa, smettetela di vendere armi, di vendere distruzione e miseria e di armarvi.

A proposito miseria. Quando la Grecia era in ginocchio nessun centesimo è andato alla popolazione sofferente. Hanno imposto di smontare il welfare, il sistema sociale, le pensioni nel nome della austerità e dell'equilibrio di bilancio, ora che vogliono fare la guerra, la violenza non conta nel bilancio, è gratuita, anzi la pagheremo noi con ancora meno assistenza, meno welfare, meno pensioni.

La prossima domenica abbiamo la prima dell'avvento, andiamo verso il Natale. Ci saranno luci, ci saranno feste, alberi luminosi, candele, ma in fondo è tutto truccato: il mondo continua a fare la guerra. Il mondo non ha compreso la strada della pace».

Gesù nella Parabola dice: Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini le quali, prese le loro lampade, uscirono a incontrare lo sposo.

Qui ognuno vuole fare la festa guastando quella degli altri, e alla fine festa non c'è.

Non rimane altro che noi, discepoli di Gesù, annunciamo come ha detto Isaia: Gioite, sì, esultate in eterno per quanto io sto per creare; costruiranno case e le abiteranno; pianteranno vigne e ne mangeranno il frutto. Non costruiranno più perché un altro abiti, non pianteranno più perché un altro mangi; Il lupo e l'agnello pascoleranno assieme, il leone mangerà il foraggio come il bue, e il serpente si nutrirà di polvere. Non si farà né male né danno su tutto il mio monte santo», dice il SIGNORE.

E Giovanni scrive nell'Apocalisse: non ci sarà più la morte, né cordoglio, né grido, né dolore.

Jens Hansen Mastodon

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